Guida all’ascolto Musica instrumentale
Franz Joseph Haydn: Musica instrumentale sopra le sette ultime parole del nostro Redentore in croce – o sieno Sette Sonate con un Introduzione ed al fine un Terremoto”, versione per orchestra, Hob:XX:1
Struttura dell’opera
• Introduzione (Maestoso e adagio) in Re minore
• Sonata I (Largo) in Si♭ maggiore, Pater, dimitte illis, quia nesciunt quid faciunt (Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno)
• Sonata II (Grave e cantabile) in Do minore, Hodie mecum eris in Paradiso (Oggi sarai con me in Paradiso)
• Sonata III (Grave) in Mi maggiore, Mulier, ecce filius tuus (Donna, ecco tuo figlio)
• Sonata IV (Largo) in Fa minore, Deus meus, Deus meus, utquid dereliquisti me? (Mio Dio, mio Dio, perché mi hai abbandonato?)
• Sonata V (Adagio) in La maggiore, Sitio (Ho sete)
• Sonata VI (Lento) in Sol minore, Consummatum est (Tutto è compiuto)
• Sonata VII (Largo) in Mi♭ maggiore, In manus tuas, Domine, commendo spiritum meum (Padre, nelle tue mani rimetto il mio spirito)
• Terremoto (Presto e con tutta la forza) in Do minore.
La Musica instrumentale sopra le sette ultime parole del nostro Redentore in croce – o sieno Sette Sonate con un Introduzione ed al fine un Terremoto non è soltanto uno dei capolavori della sterminata produzione di Franz Joseph Haydn ma della storia della musica all’interno della quale rappresenta un vero e proprio “caso a se” non fosse altro per la particolare articolazione, costituita da una serie di otto tempi lenti inclusa l’introduzione, determinata dalla destinazione d’uso di commento al testo evangelico del mistero centrale della fede cristiana.
Questa tema e in particolare quello della crocifissione ha suscitato, da sempre, particolare interesse nei compositori, nei pittori e negli scultori. In musica è stato declinato su più generi: la Passione, l’Oratorio, la Messa, lo Stabat Mater e, a partire dal 1500, le Sette Ultime parole sulla Croce di cui esistono esempi mirabili in varie combinazioni vocali e/o strumentali come quelle di Orlando di Lasso, Heinrich Schütz, Giovanni Battista Pergolesi, Saverio Mercadante, Charles Gounod, César Franck fino ai giorni nostri con le opere di Sofia Gubaidulina e James MacMillan.
Quello di Haydn è, certamente, come ebbe a dichiarare il Santo Padre Benedetto XVI, in occasione di un’esecuzione del brano realizzata per la sua festa onomastica a Roma presso la Sala Clementina Venerdì 19 marzo 2010 un esempio tra i più sublimi, in campo musicale, di come si possano sposare l’arte e la fede. L’invenzione del musicista è tutta ispirata e quasi “diretta” dai testi evangelici, che culminano nelle parole pronunciate da Gesù crocifisso, prima di rendere l’ultimo respiro.
Franz Joseph Haydn nel 1785 riceve da Don José Sáenz de Santamaría, sacerdote gesuita, canonico e direttore spirituale della Confraternita della Chiesa del Rosario di Cadice nell’Andalusia, la commissione per un lavoro strumentale da eseguirsi come intermezzo musicale durante le Meditazioni del Venerdì Santo sulle sette parole di Cristo sulla Croce tenute all’interno di una cripta chiamata Santa Cueva la Santa Grotta. Sin dal 1730 i componenti della congregazione della Chiesa del Rosario si riunivano per meditare sulla Passione di Cristo e quando nel 1756 fu scoperto casualmente un sotterraneo nella chiesa, questi incontri proseguirono appunto nella cripta. Nel 1771, assunta la direzione spirituale della confraternita, Don José Sáenz de Santamaría, che nel frattempo aveva ereditato il titolo e la fortuna del marchese de Valde-Inigo, fece costruire sopra l’ambiente sotterraneo una cappella ovale dedicata all’eucarestia. La cappella, impreziosita da materiali pregiati, dalle opere La moltiplicazione dei pani e dei pesci, La vera sorpresa e L’Ultima Cena di Francisco Goya e dalle decorazioni della cupola di Antonio Cavallini, si configurava come la rappresentazione del Paradiso in contrasto con l’ambiente sotterraneo scuro, austero e freddo della Santa Grotta destinato alla penitenza.
Questo è il contesto spagnolo dove matura l’idea della commissione. A chi affidarLa se non a Haydn, ben noto all’ambiente aristocratico spagnolo, considerato, uno dei massimi compositori del suo tempo e, per giunta, pio e devoto cattolico che, come da consuetudine dell’epoca, soleva vergare i suoi manoscritti con la locuzione Laus Deo? In quegli anni il musicista assolve l’impegnativo incarico di maestro di Cappella alla corte degli Eszterházy e sta iniziando a sviluppare quella che oggi chiameremmo la sua attività di libero professionista, certamente autorizzata dal suo protettore il principe Nikolaus.
Sui particolari della commissione è lo stesso autore che ne rivela le caratteristiche nella prefazione all’edizione della partitura pubblicata nel 1801 dalla Breitkopf & Härtel dove scrive: Circa quindici anni fa mi fu chiesto da un canonico di Cadice di comporre della musica per Le ultime sette Parole del Nostro Salvatore sulla croce. Nella cattedrale di Cadice era tradizione produrre ogni anno un oratorio per la Quaresima, in cui la musica doveva tener conto delle seguenti circostanze. I muri, le finestre, i pilastri della chiesa erano ricoperti di drappi neri e solo una grande lampada che pendeva dal centro del soffitto rompeva quella solenne oscurità. A mezzogiorno le porte venivano chiuse e aveva inizio la cerimonia. Dopo una breve funzione il vescovo saliva sul pulpito e pronunciava la prima delle sette parole (o frasi) e la commentava tenendo un discorso su di essa. Dopo di che scendeva dal pulpito e si prosternava davanti all’altare. Questo intervallo di tempo era riempito dalla musica. Allo stesso modo il vescovo pronunciava poi la seconda parola, poi la terza e così via, e la musica seguiva al termine ogni discorso. La musica da me composta dovette adattarsi a queste circostanze e non fu facile scrivere sette Adagi di dieci minuti senza con questo stancare l’uditorio.
Ma quali furono le ragioni che portarono Haydn a accettare la commissione? Innanzitutto l’idea di commentare le parole attribuite dai vangeli a Gesù in agonia sulla croce su un piano esclusivamente strumentale. La possibilità di trasferire in musica, senza l’ausilio delle parole, il mistero di Cristo morente deve essere stata percepita dall’autore come una grande occasione per mettere alla prova il proprio talento e la propria capacità creativa. Da questo punto di vista va sottolineato che la musica vocale è stata, da sempre, considerata quella più adatta al servizio religioso anche per l’immediata comprensione del testo liturgico. Nel settecento permane l’ostilità da parte della Chiesa verso la musica strumentale resa ancora più problematica, negli anni ‘80 del secolo, dall’emanazione da parte del governo austriaco di un decreto teso a ridurre l’uso degli strumenti nella liturgia. E’ questo il contesto in cui opera Haydn che pensa di costruire una relazione particolare tra musica e parola: ogni movimento, chiamato “Sonata”, si apre con un tema affidato ai violini primi, concepito come intonazione letterale delle parole di Cristo. Quando il lavoro fu pubblicato a Vienna da Artaria nel 1787, Haydn si assicurò che il testo delle sette parole fosse scritto sotto la parte del primo violino, perché gli esecutori si potessero immedesimare con il contenuto di quanto stavano suonando. Il testo evangelico è, quindi, lasciato in partitura come riferimento per il direttore e i musicisti, ma l’ascoltatore non coglie che la melodia strumentale.
Innovativa e moderna è, dunque, l’idea di trasferire dalla parola al “puro” suono il carattere e il contenuto teologico del testo evangelico che Haydn coglie realizzando una musica capace, come riferisce l’autore in una lettera dell’8 aprile 1787 al suo editore di Londra, Forster, di creare la più profonda impressione anche nello spettatore più inesperto.
Se la data di composizione del brano può in qualche modo essere individuata tra l’autunno e l’inverno del 1786, subito dopo le Sinfonie parigine, incerta è quella della sua prima esecuzione spesso riferita come essersi tenuta a Cadice il Venerdì Santo (6 aprile) del 1787. La cosa è piuttosto improbabile per le ridotte dimensioni della Sacra Grotta e perché la Cappella sovrastante fu terminata circa un decennio dopo la commissione ad Haydn. Si hanno, invece, notizie di due esecuzioni private rispettivamente a Vienna nella residenza del Conte Auersperg (26 marzo) e a Bonn presso la casa del Conte Walsegg (30 marzo) realizzate però in un contesto laico e, pertanto, con la sequela di tutti i movimenti lenti eseguiti senza interruzione.
La composizione, per volontà del committente, è costituita da un’introduzione e un terremoto finale che delimitano drammaticamente le sette sonate ciascuna delle quali corrisponde ad una delle Sette Parole di Cristo sulla croce la cui metrica del testo latino Haydn utilizza per costruire il profilo tematico dei sette adagi. Al di là della simbologia legata al numero sette che nella Sacra Scrittura simboleggia Dio nella sua perfezione e completezza, significativa è la simmetria tra il contenuto testuale delle Sette parole e quello musicale delle sette sonate. Come la Quarta parola corrispondente all’invocazione «Dio mio, perché mi hai abbandonato?» rappresenta l’unica nella quale emerge in tutta la sua potenza il Cristo Uomo che agonizzante dalla Croce si rivolge al Cielo mentre tutte le altre si caratterizzano per il fatto che Cristo parla dalla Croce a tutto il genere umano, così la quarta sonata, l’unica che termina nella tonalità minore, è la chiave di volta di una struttura speculare dei modi delle prime e ultime tre sonate (maggiore-minore-maggiore) che, proprio perché esprimono la pace interiore, la speranza e la gratitudine che dalla croce si effondono su tutti gli uomini terminano tutte in maggiore.
Pur prevista per un’esecuzione discontinua in quanto ciascuno dei movimenti, melodicamente molto ispirati, è concepito per seguire nell’ordine la declamazione del testo evangelico di ognuna delle sette frasi pronunziate da Gesù, il conseguente sermone e l’adorazione del Vescovo davanti alla croce, la composizione mantiene una sua coerenza di fondo nonostante ogni singolo brano sia indipendente sul piano tematico. Nel materiale musicale dei sette adagi, realizzato secondo i canoni tipici degli Allegri delle sinfonie haydniane, si rintracciano, in ogni caso, analogie e corrispondenze melodico-ritmiche come ad esempio terze discendenti, note ribattute, puntate e appoggiature.
Haydn, nel solco di una tradizione creativa che affida alla tonalità di Re minore la traduzione in musica della dimensione metafisica della morte (già utilizzata da J.S. Bach nella Passione secondo Matteo allorquando evidenzia la riflessione dell’uomo davanti al mistero dell’aldilà, e successivamente da W.A. Mozart nel suo Requiem, da F. Schubert nel Quartetto in re minore per archi D 810, Der Tod und das Mädchen e da R. Schumann nelle Scenen aus Goethes Faust per soli, coro e orchestra solo per citare qualche esempio) predispone un percorso musicale che, dall’inquieta introduzione, attraverso le sette sonate composte in sette tonalità diverse, giunge al potente, luminoso e vorticoso finale che descrive il terremoto sul Calvario riferito nel Vangelo di Matteo ma soprattutto segnerà la vittoria sulla morte rappresentata dalla futura Resurrezione.
Considerata una delle più compiute realizzazioni musicali relative ad una meditazione sui limiti dell’umano e sulle verità della Fede con una efficacissima descrizione musicale dello stato d’animo di Gesù, del buon ladrone e di Maria, la composizione si avvale di una orchestrazione che rende queste sonate veri e propri brani sinfonici la cui ricchezza è garantita da un organico costituito da 2 flauti, 2 oboi, 2 fagotti, 4 corni, 2 trombe, timpani, archi ancora più ricco delle “coeve” sinfonie commissionate dalla società parigina Concerts de la loge Olympique per la presenza del secondo flauto e di altri 2 corni. Haydn considerò questa composizione uno dei suoi lavori meglio riusciti e, probabilmente per favorire una maggiore diffusione dell’opera, ne predispose già nel 1787 una trascrizione per quartetto d’archi Hob:XX:2, una riduzione per pianoforte Hob:XX:3 e, infine, nel 1796 una versione per coro e orchestra Hob:XX:4 su testo di un canonico di Passau.
Francescantonio Pollice